L'ascoltatore di professione, specialmente se è di lungo corso, matura con il tempo le sue predilezioni personali: stili, autori, esecutori (e autori-esecutori quando si tratti di musiche improvvisate). Ma deve cercare di tenerle in ombra, per quanto possibile, nel silenzio della coscienza critica. Chi scrive queste note si occupa come giornalista di musica, e di jazz in particolare, da circa mezzo secolo. Lasciamo da parte la grande musica europea, che qui non viene in considerazione. Ma si pensi al cammino vorticoso compiuto dal jazz negli ultimi cinquantanni, alle virate di prua anche improvvise, ai ritorni, alle fughe in avanti. Chi era giovanissimo alla fine degli anni Quaranta, dopo essersi accostato con un po? di fatica all?esplosione del jazz moderno, ha dovuto documentarsi sul passato del jazz fino alle origini, soprattutto dopo aver risolto di scegliere questa musica fra gli elementi portanti del proprio lavoro. Ha dovuto cercare di non essere ne tradizionalista ne modernista, ma di osservare giorno per giorno ciò che accade alla musica afro-americana negli Stati Uniti, in Europa e in Italia.
In Italia la prassi del jazz moderno si affermò con molta fatica e con molti sacrifici da parte dei musicisti che diedero la preferenza a queste espressioni (lo fecero, diciamolo francamente, perchè a differenza di altri erano in grado di compiere una simile opzione). Due di loro sono gli splendidi settantenni, Gianni Basso e Dino Piana, che sono protagonisti caratterizzanti di Idea6. Riconoscevano, a quei tempi, la supremazia e il magistero dei virtuosi americani (qualcuno aveva già cominciato a non farlo), ma avevano capito presto di essere in grado di gareggiare con loro e di proporre comunque una cifra personale. Senza il loro apporto, chissà quando, o addirittura se il jazz moderno italiano sarebbe decollato. Eccoli qui, adesso, senza avere perduto nulla dello smalto di una volta, che anzi appare rafforzato dalla maturità e dall?esperienza: Basso capace di dolcezze estreme, di episodi aggressivi e di un fraseggio seducente; Piana che esalta l?ascoltatore con il suono solenne che il trombone jazz acquisì negli anni Cinquanta e Sessanta e tiene banco ancora.
Gli altri quattro sono più giovani (o molto più giovani). Sono approdati alla musica d'oltre oceano in contesti diversi, ma si inseriscono alla perfezione nel clima suggerito dai due illustri solisti e vi contribuiscono attivamente, offrendo a loro volta sequenze di stupenda efficacia. Penso specialmente all'apporto dato a composizioni (e ad improvvisazioni) che appartengono a generazioni precedenti, come Metropoli di Gianni Ferrio, di fronte alla quale il cronista attempato deve stare attento a non farsi prendere dalla nostalgia, o a Pittura di Enrico Intra, Train Up di Sandro Brugnolini, Autumn in Milano di Gianni Basso. Il risultato è un cd eccellente.
Temo, a questo punto, di essermi un tantino scoperto. Ma la mia non è per nulla una preferenza per il tipo di musica che ਠstato il background della giovinezza; oppure (ma un po? sì) per i suoni chiari e immediati, che anche quando sono complessi non passano mai attraverso la sofferenza dell'ascoltatore. E la preferenza per la bellezza.
1) Metropoli (G.Ferrio) 4.23 2) New born (F.Piana) 8.10 3) Minor Mood (F.Piana) 5.44 4) Pittura (intra) 5.09 5) Train up (Brugnolini ) 5.04 6) Windly Coast ( R.Pistocchi) 4.20 7) Vivacità (F.Piana E. Valdambrini) 5.56 8) Marmaris (R.Pistocchi) 7.19 9) Autumn in Milano (Gianni Basso) 6.15 10) Tokyo Lullaby (R.Pistocchi) 5.25 Franco Fayenz
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